sabato 24 settembre 2011

Napolitano: "Ciascuno faccia la propria parte" Marcegaglia: ''Un manifesto per salvare l'Italia''

Parti d'Italia che si muovono. Il Presidente chiama e persino gli industriali rispondono. 
E'chiaro il messaggio di Emma Marcegaglia: "Con tutti quelli che vogliono il cambiamento". Per superare secessioni e stalli. Per rimuovere il cancro che sta devastando il Paese, che finalmente il progetto P2 sia archiviato dalla storia ed espulso dalla cronaca. Fermare lo scempio che travolge tutti. Un grazie a Susanna Camusso che ha costretto Uil e Cisl ad un ripensamento sul Governo. Un grazie a Beppe Pisanu, coraggioso democristiano. Un grazie al popolo dei referendum, onda e orda di rinnovamento. Il sociale libererà giovani, lavoratori e pensionati da: il cialtrone, il ciarlatano e tutti gli uomini del Presidente, questi ultimi chiaramente sotto effetto di lidocaina. "Licenziamo il licenzioso", questo potrebbe essere il titolo del Manifesto, ma il tutto è tanto e talmente drammatico...con un Presidente del Consiglio che vuole combattere la crisi economica "contro" il superministro all'economia mentre a Palazzo Grazioli oggi entrava tale Sabina Beganovich. Crisis? What Crisis?
Non sarà un Manifesto futurista, non sarà un Manifesto comunista, sarà un Manifesto di convergenza di intenti, di concordanza. Unitario. 
L'Italia dei Giolitti, dei Pertini, dei Moro, dei Berlinguer si liberi, finalmente, dei liberisti, dei liberticidi, dei liberalsocialisti. Un grazie anche ai guardiani Ferruccio De Bortoli ed Eugenio Scalfari, ma sopratutto grazie a Giorgio Napolitano, custode delle speranze di tutti.






Napolitano: "E' un anno difficile
ciascuno faccia la propria parte"

Il presidente della Repubblica interviene durante la cerimonia al Quirinale per l'apertura dell'anno scolastico. "Ineludibile abbattere il debito pubblico".  "Bisogna affrontare senza indugio la sfida del tornare a crescere, del crescere di più e meglio, del crescere unita"

ROMA - "Non possiamo nasconderci il fatto che il 2011 è stato un anno estremamente difficile, e non solo per l'Italia. Voglio esprimere l'augurio che l'anno prossimo il nostro incontro si svolga in un'atmosfera nazionale e internazionale più serena. Ma perchè ciò accada occorre che in tanti facciano ognuno la propria parte".
E per farlo "tutti noi che abbiamo responsabilità nella guida del Paese, abbiamo il dovere di darvi speranza, di darvi seriamente motivi di fiducia nel domani". Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel corso della tradizionale cerimonia al Quirinale per l'apertura dell'anno scolastico, si rivolge così ai numerosi scolari presenti. Parole che suonano com un riferimento, indiretto, alla difficile situazione che sta vivendo il nostro Paese. Ed infatti Napolitano precisa: "L'obiettivo dell'abbattimento del debito pubblico è ineludibile, guai se non ce ne facessimo carico". Il capo dello stato avverte, con chiarezza, "che il nostro paese è chiamato a prove difficili e quindi a un nuovo grande sforzo comune negli anni che ci stanno davanti". Ricordando che "l'Italia si sta cimentando con precisi impegni di riequilibrio finanziario", Napolitano chiede che si affronti "senza indugio la sfida del tornare a crescere, del crescere di più e meglio, del crescere unita".

"Occorre che il merito sia premiato. Non si possono contrapporre l'uguaglianza e il merito. Se c'è una maggiore uguaglianza
di opportunità si possono mettere tutti nelle condizioni di meritare, con maggiore possibilità di fare emergere le eccellenze" continua Napolitano. Che si rivolge ai ragazzi: "Siete portatori di speranza, ma nello stesso tempo riportate tutti noi che rappresentiamo le istituzioni al dovere di darvi speranza e fiducia nel domani". Ma per dare fiducia è necessario che cambino le condizioni economiche: "Tanti, troppi bravi nostri laureati ogni anno lasciano il nostro Paese non trovando lavoro qui. E nonostante recenti provvidenze di legge difficilmente poi rientrano".

Per questo, continua l'inquilino del Colle, "nell'affermare criteri di massimo rigore e di effettività produttività nella spesa pubblica, nel mettere mano alla sua profonda revisione e selezione, è possibile e necessario stabilire un nuovo ordine di priorità, nel quale non sia riservata alla scuola una collocazione riduttiva".

"Una scuola moderna - spiega Napolitano  - richiede una quota adeguata di risorse nell'ambito del bilancio dello Stato". Tra l'altro, Napolitano ha sottolineato "l'impegno, lungamente atteso" preso dal ministro Maria Stella Gelmini "per un maggiore riconoscimento, per un più degno trattamento dei docenti".

La Repubblica





Marcegaglia: "Salviamo l'Italia
Pronto il manifesto delle imprese"

La Confindustria durissima col governo: "Vogliamo un cambiamento vero e lo vogliamo velocemente. Basta vivacchiare. Se l'esecutivo vuole discuterne bene, se no scinderemo le nostre responsabilità dalle loro". La Russa: "Parla come la Cgil"










ROMA - La Confindustria è pronta "a scindere" le sue responsabilità da quelle del governo, perchè "vogliamo un cambiamento vero". Lo ha detto la presidente Emma Marcegaglia, intervenendo all'assemblea degli industriali toscani a Firenze. "Noi vogliamo una vera discontinuità e la vogliamo velocemente: basta con le piccole cose, non siamo più disponibili a stare in una situazione di stallo, in cui si vivacchia e in cui ci si limita a fare qualche piccola manutenzione".

Per questo, al tavolo del governo Confindustria presenterà un documento, "un manifesto delle imprese, insieme alle altre associazioni, per salvare l'Italia. Un documento - ha proseguito Marcegaglia - che non riguarda le imprese, ma è per l'Italia. Se il governo è disponibile a parlare con noi e con le altre associazioni, bene. Se invece vuole andare avanti con piccole cose, non siamo più disponibili, scindiamo le nostre responsabilità, perchè vogliamo un cambiamento vero".

Nel manifesto di Confindustria saranno contenute quelle poche riforme che secondo la presidente Emma Marcegaglia serviranno a rilanciare l'Italia. Gli industriali chiedono una riduzione della spesa pubblica "non più solo con tagli lineari", una "riforma delle pensioni che ci metta in linea con gli altri Paesi europei", usando i soldi che così sarebbero risparmiati per "abbassare il cuneo fiscale, a partire dai giovani", ha aggiunto la presidente.

Confindustria chiede poi una vendita dei beni pubblici, "vendere il patrimonio anche per abbassare il deficit, per diminuire l'ingerenza del pubblico che è ancora troppo forte e si porta dietro clientele, oltre a fare concorrenza sleale".

Un altro tema che sarà trattato nel documento è quello delle liberalizzazioni, perchè "nell'ultima manovra non c'è quasi niente", e anche quello delle infrastrutture, "un tema che riguarda tutto il Paese. Dobbiamo guardarci in faccia - ha proseguito - e domandarci se vogliamo tornare a crescere".

Infine Marcegaglia ha ribadito che  non è più possibile aspettare "la riforma fiscale", "perchè occorre abbassare le tasse a chi tiene in piedi il Paese, lavoratori e imprese. Siamo pronti anche a una piccola patrimoniale, lo abbiamo detto, pur di avere meno tasse".

 "Fa male vedere una carenza di leadership anche a livello europeo", tre anni dopo la grande crisi del 2008 e dopo la crisi che da tempo sta coinvolgendo la Grecia. ha aggiunto poi la Marcegaglia. "Non può esserci una moneta unica senza una politica economica comune, senza un budget federale", ha spiegato. "O i leader europei hanno la capacità di superare i nazionalismi oppure io penso che tutto quello che abbiamo fatto nell'Unione europea rischia di non restare in piedi. E in questo caso le conseguenze sarebbero devastanti".

Alla leader di Confindustria Emma Marcegaglia, risponde il segretario generale della Uil Luigi Angeletti. "Gli otto punti della piattaforma congiunta presentata dalle parti sociali ad agosto sarebbero una buona base di partenza". "Spero - ha detto Angeletti a margine della convention dei circoli Nuova Italia - che Confindustria non si limiti a generici auspici, perchè non ci servono". Servono "proposte chiare e non ecumeniche, così Confindustria farebbe una cosa molto utile per il Paese e troverebbe in noi un interlocutore molto disponibile". Ma, aggiunge, "a condizione che non sia solo un elenco dei desideri".

Durissimo il ministro della Difesa, Ignazio La Russa: "Mi insospettisce che la Marcegaglia dica le stesse cose della Cgil. Una volta - ha osservato - la Cgil li chiamava padroni". La Russa ha difeso quanto ha fatto finora il governo "d'accordo però che da qui a dicembre si debba lavorare per un piano di rilancio dell'economia e di riduzione del debito".
La Repubblica




Berlusconi, gli ex democristiani Pisanu
e Mannino ne chiedono le dimissioni
Beppe Pisanu e Calogero Mannino, finora sostenitori della maggioranza, escono allo scoperto e invocano la fine dell'esecutivo guidato dal Cavaliere

Berlusconi vada a casa. A invocarlo non èAntonio Di Pietro e qualcuno del Pd, ma di due parlamentari della maggioranza, storici esponenti della Democrazia cristiana, sopravvissuti agli ultimi trent’anni dei Palazzi: Beppe Pisanu Calogero Mannino. Entrambi escono allo scoperto e criticano l’esecutivo. Perquanto finora abbiano votato sempre con la maggioranza. Ma qualcosa si è ormai definitivamente incrinato. E la Balena Bianca comincia a indignarsi

Il primo a bocciare l’esecutivo e chiedere un nuovo governo è stato Beppe Pisanu. “C’e’ un’evidente sfiducia dei mercati nei confronti dell’Italia che ha motivazioni egualmente forti sia sul piano economico che su quello politico”, ha detto il senatore del Pdl a Cagliari a margine della Festa democratica. “Sono convinto che allo stato attuale delle cose – ha sottolineato Pisanu – l’unica via d’uscita sia rappresentata dalla costituzione di una larghissima maggioranza parlamentare che dia all’esterno l’impressione netta di un Paese che mobilita tutte le sue energie per fronteggiare e superare la crisi”. Sull’intenzione del presidente del Consiglio, Berlusconi, di andare comunque avanti nonostante i tanti inviti a dimettersi, Pisanu ha commentato: “Cosa succederà nei prossimi giorni non lo so, molto dipenderà dalle decisioni del presidente Berlusconi, ma più ancora dalle decisioni dei mercati e delle autorità internazionali”.

Di puro sapore democristiano, invece, la dichiarazione di Calogero Mannino. Appena tre righe che sembrano uscite dagli archivi del 1982, quando Calogero era ministro dell’Agricoltura e l’esecutivo era un monopolio della Democrazia cristiana, ma comunque chiare: “Se Berlusconi non ha la forza e la capacità di presentare proposte concrete di taglio reale di spesa deve prendere atto che non v’è più una ragione politica per la sopravvivenza del governo. Provi il più e si porti al livello dei doveri verso il Paese e le sue attese”. Tradotto, in politichese contemporaneo, è così sintetizzabile: non esiste alcun motivo per tenere vita il governo Berlusconi. Mannino non è un parlamentare qualsiasi. Ha una storia politica lunga oltre quarant’anni. Iscritto alla Dc dal 1976, ministro dell’agricoltura due volte e poi titolare dei trasporti, dirigente della Gioventù italiana di Azione cattolica, presidente del Circolo Acli, dirigente della Cisl sia a livello provinciale (Agrigento) che a livello regionale, avvocato e presidente dell’Associazione degli Avvocati di Sciacca. Nel 1961, ad appena 22 anni è eletto consigliere comunale a Sciacca e a 32 entra nell’assemblea regionale siciliana e viene nominato assessore alla Finanze. Poi arriva alla Camera dei Deputati con la Dc. Nel 1995 conosce anche il carcere: nove mesi dietro le sbarre con l’accusa di aver stretto un patto con la mafia per avere voti in cambio di favori. La vicenda arriva fino in Cassazione che nel 2010 assolve Mannino. Lui è sempre nel Palazzo. Lascia l’Udc quandoPierferdinando Casini va all’opposizione e, insieme a Saverio Romano, si iscrive al gruppo Misto per sostenere l’esecutivo Berlusconi. Anche per tutto questo, la bocciatura del premier e la sua richiesta di dimissioni del governo, suona come un rilevante scricchiolio dell’attuale esecutivo. La Balena Bianca ha cominciato a muoversi.







DIVIDERSI NEL MOMENTO PEGGIORE


Un litigio che fa male

Berlusconi e Tremonti dopo il voto su Milanese

«Altre domande?», ha tagliato corto ieri il premier Berlusconi quando gli hanno chiesto cosa pensasse dell'assenza di Giulio Tremonti nella votazione parlamentare per l'arresto di Milanese, consigliere del ministro. Altre domande? In effetti ce ne sarebbero. Per esempio: è possibile che il presidente del Consiglio e il ministro dell'Economia si trattino pubblicamente come nemici e non perdano occasione per punzecchiarsi, darsi sulla voce, mostrare a ogni occasione insofferenza reciproca e addirittura rancore? Un'altra domanda: che spettacolo è quello di un rapporto così lacerato tra premier e ministro dell'Economia quando nel mondo finanziario internazionale è tempesta perfetta, l'Italia è declassata da un'agenzia di rating e gli italiani sono chiamati a fare sacrifici durissimi?
Anche i contrasti politici, legittimi, richiedono forme appropriate. Invece ieri l'assenza di Tremonti nel Consiglio dei ministri è stato uno strappo che ha alimentato fino al parossismo i malumori dei suoi colleghi. Ma le istituzioni funzionano così: nel rispetto di regole e di comportamenti che non diano il senso di un governo spaccato, minato dalla disistima reciproca, squassato da risentimenti personali. Di più: la stessa credibilità internazionale di un Paese è fatta di gesti che trasmettano la rappresentazione della sua compattezza di fronte alla bufera. Il contrario dello scontro permanente cui stiamo assistendo sbigottiti.
Quella di ieri, del resto, è solo (per ora) l'ultima scena di un teatrino di dispetti e frecciate che da tempo hanno scardinato un rapporto di lealtà politica minima tra Berlusconi e Tremonti, e proprio in una giornata agitata dal caso Milanese. Già una volta il premier aveva platealmente interrotto il ministro dell'Economia nel pieno di una conferenza stampa in cui venivano illustrate le linee di una manovra molto dura.
È noto, inoltre, che nel corso di una deposizione davanti ai giudici Tremonti si è lamentato del «metodo Boffo» che gli ambienti politici e giornalistici più prossimi al presidente del Consiglio avrebbero avuto in animo di praticare a suo danno. Una parte del Pdl, inoltre, si è più volte scagliata contro il ministro dell'Economia bollandolo come responsabile di una linea fiscale contraria a quella, ispirata alla religione antitasse, incarnata da Berlusconi. E non è un mistero che lo stesso Berlusconi abbia in mente di costituire un think tank che elabori un piano di liberalizzazioni (una politica economica parallela?) per contrastare quello che considera il «neostatalismo» di Tremonti.
«Altre domande?». Questa: è possibile che una così totale mancanza di comunicazione tra il premier e il ministro possa durare a lungo senza provocare conseguenze letali sull'azione del governo, ma soprattutto sulla credibilità dell'Italia messa sotto osservazione? La risposta non può che essere: no, non è possibile. Il gioco pericoloso delle ripicche deve finire. Al più presto. Subito.


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