15:36 Bombardato il buker di Gheddafi 31 – La Nato colpisce i tunnel sotterranei sotto la residenza del rais di Bab al-Aziziya.
Si stringe l'assedio a Tripoli. Spari ed esplosioni sono stati avvertiti nella capitale libica, dove i ribelli avrebbero conquistato quattro quartieri. Il governo: "La città è al sicuro". In un audio trasmesso in tv, il rais si è congratulato per l'eliminazione di quelli che ha definito "ratti". Secondo voci non confermate, starebbe scappando verso il confine con l'Algeria. Altre lo danno asseragliato nel suo bunker pronto a morire. Intanto la nave che doveva evacuare gli stranieri è tornata a Malta. I combattimenti impediscono l'entrata nel porto.
Il rumore della battaglia
TOBRUK - Lo vede già cadavere, appeso a un lampione di Tripoli. Anche se non l'hanno ancora preso. "Non gli abbiamo ancora stretto il cappio attorno al collo, ma è da giorni che m'immagino Gheddafi morto ammazzato", dice il ventitreenne Ibrahim con un sorriso appena accennato e lo sguardo perso nel vuoto, come se pregustasse l'avverarsi di un evento fortemente atteso. Il ragazzo si passa la mano sul cranio rapato a zero, e aggiunge: "Ma non impiccheremo soltanto lui. No: sulla forca finirà tutta la sua maledetta famiglia". Postino prima dei moti di febbraio, durante i quali armato del suo solo coraggio attaccò con una banda di giovanissimi esaltati la caserma di Tobruk, Ibrahim fa oggi parte di una sorta di guardia pretoriana degli insorti della Cirenaica. Per guadagnarsi i galloni, a fine marzo salpò su un guscio di noce dal porto di Bengasi per andare a difendere l'assediata e bombardatissima Misurata.
E' vero, la guerra in Libia vive in queste ore fasi convulse, che preannunciano forse il suo epilogo. Le forze democratiche così come le cancellerie occidentali si dicono certe che il Colonnello stia finalmente per uscire di scena. Confermando l'esistenza di contatti con la cerchia più stretta dei collaboratori del raìs, il presidente del Consiglio nazionale di transizione, Mustafa Abdel Jalil, prevede che la sua fine è vicina, vicinissima, e che sarà certamente "catastrofica", perché Gheddafi lascerà dietro di sé solo caos e anarchia. "Può anche darsi", sbuffa Ibrahim, passandosi nuovamente la mano sulla sua palla da biliardo. "Fatto sta che le città della Tripolitania stanno cadendo tutte, una dopo l'altra: Zawiya, Zlitan e adesso anche Brega. La prossima sarà la capitale". A febbraio, quando l'incontrammo davanti alla caserma ancora fumante della sua città, Ibrahim che allora era ancora crinito di una folta zazzera bruna insistette per mostrarci le stanze dove furono più volte torturati suo padre e suo zio dagli scherani di Gheddafi. "Catastrofica è stata fino ad ora la vita dei libici: il futuro non può che riservarci delle belle sorprese".
Come è già accaduto nei mesi scorsi, questa guerra ancora si combatte a colpi di propaganda. Di una propaganda grossolana. Ed è difficile raccapezzarsi quando si dispone di poche certezze in un mare di illazioni. Come annunciato da Ibrahim, i ribelli hanno affermato ieri di controllare tutta la città di Brega, importante polo petrolifero della Cirenaica, da settimane teatro di violenti scontri con le forze governative, che starebbero ora ritirandosi verso Occidente. Una decina di giorni fa, gli insorti si erano impadroniti della zona residenziale di Brega: da allora hanno avanzato a passo di lumaca, incontrando la forte resistenza dei soldati lealisti nascosti nelle infrastrutture industriali abbandonate. "Vuole sapere perché abbiamo impiegato così tanto per conquistarla? Perché i gheddafisti hanno infarcito le loro linee di ragazzi molto giovani, e noi non spariamo sui bambini", s'inalbera Ibrahim. "E preferisco tacere sulle perdite tra i nostri ranghi causate dalle mine piazzate dai soldati del regime". Poche ore dopo, il portavoce militare degli insorti, colonnello Ahmed Omar Bani, dichiarerà che intensi bombardamenti delle forze governative li hanno costretti a lasciare l'area industriale. "Una ritirata strategica", per evitare ulteriori danni alle infrastrutture petrolifere e per risparmiare vite dei combattenti.
Chiediamo allora a Ibrahim delle altre due città strappate alle truppe regolari, Zawiya e Zlitan, obiettivi fondamentali nell'avanzata verso la capitale. Sostiene il ragazzo: "Sì, abbiamo liberato Zawiya, ultimo dei principali ostacoli per avanzare verso Tripoli da Ovest. La sua raffineria è inoltre la sola fonte di combustibile per la capitale che dunque potrebbe rimanere senza rifornimenti". Quanto a Zlitan, che dista 150 chilometri da Tripoli, si combatte ancora, sebbene gli insorti occupino adesso tutti i suoi punti strategici.
Dicevamo dell'infinità di notizie difficilmente verificabili, quasi assordanti, che si sovrappongono appena entri in Libia. Una, giunta ieri mattina tramite la stazione radio Libya Hurra di Misurata, annunciava che gli insorti controllano adesso perfino l'aeroporto internazionale di Tripoli e che stanno avanzando verso il centro della città per occupare la radiotelevisione. Ma è lo stesso Ibrahim a non crederci: "Sarebbe troppo bello. Detto ciò, ci sono adesso migliaia i combattenti impegnati nella battaglia di Tripoli. Si tratta di intere colonne di giovani soldati, che stavolta sono bene irreggimentati e non, come a febbraio e marzo, sparsi come cani sciolti con la vocazione del martirio". La televisione Al Arabiya, che è stata vicina agli insorti fin dall'inizio della rivolta, ha riportato ieri il poetico nome dell'offensiva sulla capitale: "Alba della sposa del mare", dove la "sposa" è appunto Tripoli.
Intanto, all'Hotel Hasdrubal di Hammamet sarebbe già pronta una lussuosa suite con vista sul golfo Cap Bon, che fonti dell'intelligence americana indicano come possibile prima tappa dell'esilio di Gheddafi, prima che ripari in Venezuela dall'amico Hugo Chavez. Altre fonti statunitensi ritengono però che il Colonnello non lascerà la Libia, ma al contrario combatterà fino alla fine, organizzando un'ultima resistenza dalle sue roccaforti attorno alla capitale. Se così fosse, il macabro sogno di Ibrahim potrebbe davvero avverarsi.
Ultimo assalto al colonnello
ZAWIYA - Ancora Gheddafi non è caduto, ma già i comandi militari della guerriglia rivoluzionaria pensano a come assicurare la calma quando saranno in controllo di Tripoli. «Una cosa è certa: eviteremo gli errori che commisero gli americani dopo la fuga di Saddam Hussein da Bagdad nell'aprile 2003», sostengono gli ufficiali della Rivoluzione del 17 febbraio incontrati tra le vie devastate dai combattimenti di Zawiya e negli uffici-comando a Zintan, la cittadina dove hanno il loro quartier generale sulle montagne di Nafusa.
Come? Le risposte specifiche sono ovviamente top secret. Nessuno intende rivelare al nemico i piani delle prossime battaglie. Un'operazione comunque complessa. Qualcuno l'ha chiamata «Alba della sposa», dal soprannome della capitale libica «sposa del mare». Un nome aulico per liberare dal dittatore una città di oltre due milioni di abitanti, dove Gheddafi può ancora contare su di un buon numero di fedelissimi: irriducibili sostenuti da tribù importanti che dominano nel centro e nelle regioni meridionali della Libia.
Informazione e propaganda si accavallano in un brusio contraddittorio e caotico, specie in queste ultime ore. Al Jazeera riportava ieri testimonianze da Tripoli su scontri in centro, in piazza Algeria e nei quartieri di Fashlum, Suq al Jumaa e Arada. «L'intifada di Tripoli è iniziata», proclamava l'emittente. In serata, altri reporter hanno confermato di aver udito esplosioni multiple nella capitale. Sparatorie sono state segnalate nel sobborgo orientale di Tagiura. Alcuni tripolini hanno riferito che, mentre folle di oppositori del regime sono uscite in piazza dopo il digiuno, un sms è stato inviato ai cittadini, esortandoli «a scendere in strada per eliminare gli agenti armati» del nemico. Il portavoce del regime, Moussa Ibrahim Gheddafi, ha ammesso scontri «limitati» in alcuni quartieri di Tripoli, aggiungendo che «gli infiltrati» sono stati respinti. L'altra notte la radio dei ribelli aveva annunciato che «circa 10.000 combattenti hanno liberato l'aeroporto internazionale di Tripoli». Ma la tv libica ha mostrato che è nelle mani delle forze lealiste.
A Zintan il portavoce militare del Consiglio rivoluzionario, colonnello Juma Ibrahim, conferma l'importanza della presa di Gharyan, Zlitan, Brega e Zawiya e di larghi tratti di fascia costiera tra Tripoli e il confine con la Tunisia. «Manca poco, forse meno di una settimana - afferma -. Stiamo preparando l'assalto finale su Tripoli. Gheddafi è completamente circondato. Gli attacchi della Nato, assieme alle nostre offensive di terra l'hanno logorato. I suoi soldati hanno il morale a terra, mancano di benzina e munizioni. Non penso abbia armi chimiche. Le avrebbe già usate. Però potrebbe minare Tripoli con gigantesche bombe da 3.000 chili, impegnare cecchini, dissanguarci in estenuanti combattimenti strada per strada, facendosi scudo dei civili». La radio dei ribelli Libya Al Ahrar riferiva ieri voci di una fuga del Raìs con i figli Hannibal e Mutassim. Ma nella notte la tv libica ha mandato in onda un audio di Gheddafi che si congratulava per l'eliminazione dei nemici, «quei topi». «Suo figlio Saif al Islam potrebbe morire combattendo. Ma lui no, è troppo furbo - continua Ibrahim -. Non mi stupirei se, dopo aver incitato i suoi a morire con onore, cercasse di scappare nel deserto verso un Paese africano amico, ne ha tanti a sud del Sahara».
Ecco dunque il piano per tentare la presa il più possibile indolore di Tripoli. Da qualche giorno le unità dei ribelli più prossime mandano avanti i loro uomini che risiedono nella capitale affinché si appostino nelle proprie case. Da Bengasi alcune centinaia di militanti sarebbero arrivati via mare in attesa di ordini. «Saranno i tripolini a liberare per primi i loro quartieri, invitando la popolazione a insorgere e nello stesso tempo cercando di controllare chi vorrà prendersela con i vicini pro-Gheddafi», dice un giovane capitano originario di Tripoli e impegnato a Zawiya. Le sommosse nella capitale tra fine febbraio e marzo erano state sedate nel sangue. Poi si erano riaccese su scala minore. Tra maggio e i primi di giugno i disordini notturni e le schermaglie tra giovani e corpi scelti della polizia erano la norma. Ma poi la repressione era tornata violenta, con agenti e informatori sparpagliati su larga scala, spesso volutamente visibili con l'intento di fungere da deterrente. Ora le manifestazioni urbane dovrebbero congiungersi con le colonne di insorti in arrivo dall'esterno. Ieri si era anche propagata la voce, non confermata in modo indipendente, che dopo un intenso bombardamento Nato sulle mura di cinta del carcere di Abu Selim (un simbolo della ribellione da quando nel 1996 vi furono massacrati circa 1.200 prigionieri politici) i familiari dei detenuti avessero attaccato l'edificio liberando i loro cari.
Viaggiare nelle zone controllate dai ribelli presso Zawiya è ormai meno pericoloso che due giorni fa. «Stiamo ripulendo le postazioni nemiche dai cecchini. Il problema è che ci sono tanti miliziani pro-Gheddafi sbandati ancora ben armati. Sono nascosti tra le case abbandonate, che sono tantissime. Quando può, la popolazione civile fugge», dicono ai posti di blocco sino a Sabratha. Le operazioni più violente sono in corso più a Ovest, verso Zuwara, dove i miliziani pro-Gheddafi sono imprigionati in una grande sacca impossibile da difendere. Ieri nel pomeriggio è intervenuto l'esercito tunisino per fermare quelli in fuga che tentano di sconfinare. I lealisti restano molto più aggressivi a Jaddaym, sulla strada costiera, una decina di chilometri a est di Zawiya: da qui tirano a intermittenza missili Grad verso le zone che hanno appena abbandonato. Il centro di Sabratha porta i segni di incendi e impatti di proiettili di grosso calibro anche nella zona dei giardini pubblici. A Zawiya quasi non c'è palazzo che non sia stato danneggiato.
Lorenzo Cremonesi
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