L'ANALISI
Il cavaliere e i mercati tra Scilla e Cariddi
di EUGENIO SCALFARIIL TOPOLINO partorito dalla montagna è estremamente gracile: sette miliardi e mezzo fuoriusciti dal Fas, il salvadanaio che avrebbe dovuto sostenere le Regioni meridionali e che è stato più volte manomesso e ridotto al lumicino dal ministro dell'Economia.
Con sette miliardi e mezzo non si va lontano, tanto più che ci vorranno parecchi mesi per aprire i cantieri e assumere la manodopera necessaria. Ma ciò che rende grottesca questa trovata, la sola che ha dato un minimo di concretezza a quel discorso, è l'elenco delle opere e la loro tempistica.
Nell'elenco appare niente meno che il completamento dell'autostrada e della ferrovia nel tratto Napoli-Salerno-Reggio. Sono trent'anni che se ne parla e ogni volta i governi l'hanno dato per fatto ma è ancora lì.
Un Parlamento serio avrebbe dovuto seppellire con un'omerica risata quest'opera pubblica ballerina. E un'altra nello stesso elenco, da Bari a Napoli. Il presidente del Consiglio, presentando il topino, ha ricordato che quelle opere erano già state proposte dal governo alla Fiera di Bari dell'anno scorso. Fino a ieri erano finite non si sa in quale cassetto di Palazzo Chigi.
Ho dedicato l'inizio di questo commento al discorso di Berlusconi agli investimenti che dovrebbero rilanciare la crescita perché si tratta della sola proposta che abbia un minimo di concretezza. Mentre i mercati giocano ogni giorno con i debiti sovrani europei e in particolare con quello italiano, il nostro governo offre questa soluzione.
Grottesca, ridicola. Ricordo che Paolo Sylos Labini, quando già si parlava della Napoli-Salerno-Reggio, trent'anni fa disse: "Se sento ancora parlare di quell'autostrada metto mano alla pistola". Aveva perfettamente ragione.
I veri temi sui quali aspettavamo Berlusconi erano tre: il debito, la crescita e la fiducia dei mercati. Il presidente del Consiglio li ha elusi tutti.
La prima metà del discorso aveva l'andamento d'una relazione della Banca d'Italia: il problema del "default" americano scongiurato "in limine", il pericolo d'una nuova recessione che parta dagli Usa e si propaghi, l'intervento dell'Europa sul debito greco e sull'intera scacchiera dell'Eurozona. Grande "aplomb", una rapida ma informata sintesi della situazione dell'economia reale nell'Occidente opulento ma bloccato da un calo generale e drammatico della domanda.Non so chi gliel'ha scritto, ma sembrava d'ascoltare uno di quei dotti sermoni che vanno in scena in via Nazionale ogni 31 di maggio.
Quelle relazioni però, dopo la rassegna dei fatti, affrontano quello che è avvenuto in casa nostra, le cose ben fatte e quelle sbagliate, le omissioni, i ritardi, le confraternite del potere chiamate per nome e cognome.
Insomma un'altissima lezione di politica economica e di etica pubblica, un freno agli appetiti e una frustata alla pigrizia.
Nulla di simile nei trenta minuti dell'orazione berlusconiana. Abbiamo sentito ripetere per l'ennesima volta che tutto va bene, che i "fondamentali" sono solidissimi, che il risparmio delle famiglie è una risorsa che nessuno degli altri paesi possiede quanto noi, che le imprese girano a pieno ritmo e che i mercati, chissà perché, non vedono tutte queste meraviglie.
"I mercati" ha detto il premier "sono nervosi, vorrebbero tutto subito. Bisogna convincerli che c'è bisogno di tempo". Faceva uno strano effetto ascoltare quelle parole. Suggerivano l'idea che nei prossimi giorni Berlusconi faccia un giro delle Borse europee e dei "bureau" delle maggiori banche d'affari per convincere gli operatori a investire nei buoni del Tesoro e le imprese a sbarcare in Italia, auspica il nuovo Statuto dei lavori che il ministro Sacconi sta preparando per mettere definitivamente la mordacchia ai lavoratori italiani.
Ma nella terza parte del suo discorso il premier ha dato il meglio di sé. Ha ricordato, tra gli applausi della maggioranza, che lui è proprietario di tre aziende quotate in Borsa e dunque se ne intende. Ha fatto propri gli appelli di Napolitano alla coesione sociale e politica. Infine ha aperto all'opposizione affinché confronti i suoi programmi con quelli del governo. "Se quelle loro proposte saranno orientate verso il bene dell'Italia noi le accoglieremo".
Da quando è al potere non è mai accaduto per una assai semplice ragione: il bene dell'Italia sta tutto nei programmi del governo; se l'opposizione vorrà aggiungere i suoi voti, lui ne sarà molto contento.
La risposta di Bersani a nome dell'opposizione è stata centrata sul debito, sulla produttività, sulla crescita; cioè su quello che mancava totalmente nella relazione del premier. Con l'offerta pubblica di una maggioranza di tutte le forze parlamentari per fronteggiare l'emergenza della crisi e con un nuovo capo del governo designato dal presidente della Repubblica.
La proposta è sensata ma l'interlocutore non lo è. Gli si chiede un passo indietro che non farà mai perché degli interessi del paese se ne infischia e pensa unicamente ai suoi come l'esperienza pluridecennale ci insegna.
Mi auguro con tutto il cuore che i mercati di oggi e dei prossimi giorni siano sedotti dalla comunicativa berlusconiana e si mettano ventre a terra a comprare titoli di Stato e azioni delle nostre banche. Ma se non dovesse accadere che cosa si fa? Si va avanti con l'autostrada Napoli-Salerno-Reggio? Attenzione, perché alla fine di quell'autostrada ci sono Scilla e Cariddi che ingoiano l'acqua del mare e tutte le barche che navigano nei pressi delle loro fauci. Solo Odisseo scampò, ma era protetto da Atena, la dea dell'Intelligenza, con la quale non mi sembra che il nostro premier abbia rapporti cordiali.
Le attese deluse
Dunque la casa continua a bruciare senza che nessuno metta mano all'estintore. Dal discorso in Parlamento del presidente del Consiglio era lecito aspettarsi molto di più. La decisione di parlare solo dopo la chiusura dei mercati poteva far supporre perfino qualche clamorosa sorpresa. Invece niente. Neppure una timida ammissione, verso un Paese che arranca nel pantano della crisi bombardato da quelli che chiamano «speculatori», di aver sbagliato qualcosa. Semmai il contrario: i guai sono del mondo intero, a cominciare dai più bravi (gli Usa), l'Italia è solida, le sue banche sono solide, i conti pubblici stanno meglio di quelli altrui, il nostro sistema pensionistico è invidiato da tutti... Dulcis in fundo , il governo resterà al suo posto fino al 2013.
Ma se il messaggio di stabilità che il premier intendeva lanciare ai mercati era tutto condensato in quell'« hic manebimus optime », stiamo freschi. Perché qui ha perfettamente ragione il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: per venire fuori da questa situazione serve uno sforzo straordinario di coesione nazionale. Alle sue parole ha fatto riferimento anche il Cavaliere, precisando che «oggi più che mai» è necessario «agire insieme» e che «tutti hanno il dovere di rimboccarsi le maniche».
Peccato che il segretario del suo partito, Angelino Alfano, abbia speso quasi tutto il tempo della propria replica per lanciare bordate all'opposizione. E peccato che il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, per tutta risposta, si sia detto disponibile «a fare un passo avanti» soltanto dopo «un passo indietro» della maggioranza. Ossia le dimissioni di Silvio Berlusconi.
Dall'appello di Napolitano siamo quindi lontani anni luce. Il Parlamento è spaccato e il governo senza idee. La strategia per fermare la tempesta perfetta va dai decreti sull'uso delle auto blu a improbabili tavoli con le parti sociali, peraltro immediatamente affondati da Bersani. Quando già un pezzo della manovra approvata un mese fa è evaporata con l'aumento vertiginoso degli interessi sui nostri titoli di Stato e lo stesso Berlusconi ha lasciato intendere che si dovranno fare interventi sul fabbisogno «nell'ultima parte dell'anno».
Insomma, il peggiore segnale per gli «speculatori». Ma anche per un Paese, oggi migliore di chi lo dirige, che in questa situazione meriterebbe dalla classe politica una risposta ben diversa. Come un gesto immediato. Non domani: adesso, prima che il mercato (quello stesso mercato che Berlusconi, come si è premurato di ricordare egli stesso ieri alla Camera, conosce bene avendo «tre aziende quotate») ci spinga nel baratro.
Per esempio, un decreto che anticipi gli effetti consistenti della manovra a prima del 2013-2014. Un provvedimento del quale qualcuno parla già, anche se incontrerebbe molti ostacoli nel governo, che tuttavia responsabilmente Pier Ferdinando Casini ieri si è detto disposto a «votare immediatamente». Non risolverebbe certo i nostri problemi alla radice. Ma almeno mitigherebbe la probabile delusione dei mercati. E con l'aria che tira, è già qualcosa.
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