Stazioni fantasma, metro sbarrata, abitanti tappati in casa. Supermercati chiusi a metà mattinata, caccia ai viveri nei pochi negozi ancora aperti. Il sindaco: se salta la corrente non garantisco il ritorno entro domani
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPININEW YORK - Il sindaco Michael Bloomberg ci gela con una conferenza stampa da panico. "Non siamo sicuri di potervi soccorrere, se non siete al riparo nei luoghi giusti di fronte all'impatto di Irene". È teso, preoccupato e duro il nostro primo cittadino: "Non illudetevi di essere protetti dalla furia delle acque solo perché abitate al decimo piano di un palazzo. Non ci sono solo le inondazioni ma i vetri in frantumi per il vento, i blackout elettrici". Anzi, più il piano è alto più siamo in trappola? "Ho dato l'ordine a tutti i condomini: ascensori disattivati, non possiamo rispondere alle chiamate di chi rimane bloccato durante i blackout". E poi ancora pessimista: "Non finisce questa domenica, lunedì sarà caos nei trasporti pubblici, e interruzioni di corrente elettrica".
Sembravamo rotti a tutto, noi abitanti di New York. Sembrava che quattro giorni di tam tam dei media e delle autorità ci avessero quasi assuefatto perfino a Irene. E comunque l'imponente apparato di misure d'emergenza doveva darci un segnale rassicurante: massima prevenzione, mobilitazione, tutti pronti a reggere l'impatto. Invece passano le ore e i nervi sono a fior di pelle, la metropoli che ha retto l'11 settembre vacilla, incerta su come reagire a questa minaccia naturale che non ha precedenti.
Al risveglio c'è una parvenza di normalità: la solita folla fa jogging a Central Park, imperturbabile come se le prime gocce che iniziano a piovere non fossero l'avvisaglia dell'Armageddon. Poi però i segnali dello stato d'eccezione s'infittiscono, ti sorprendono dove meno te li aspetti. Avvisti il 69esimo reggimento corazzato della National Guard che presidia la Lexington Avenue. Gli amici che abitano nei quartieri più "cool", da Chelsea a Soho, cominciano a telefonarti angosciati: "Siamo al confine tra l'area A (evacuazione obbligatoria) e la zona B che è comunque a rischio, che fare?".
Le tv sono bollettini di guerra già da quattro giorni e Irene cominciava a sembrarci "un Armageddon al rallentatore", però con l'uragano alle porte di Manhattan i meteorologi emettono un verdetto implacabile: "Svanisce ogni speranza che dirotti in mare. E purtroppo l'impatto è peggiorato dalla luna piena, siamo in alta marea, i venti s'infilano verso il porto di New York, tra Brooklyn e Staten Island e Manhattan, l'effetto-imbuto spinge un muro d'acqua verso i quartieri bassi".
La psiche metropolitana incassa male quel che accade a metà giornata. È quando di colpo si fermano il metrò e gli autobus, i treni, gli aeroporti. Tutto era preannunciato 24 ore prima, è vero, tutto è giustificato (i treni vanno messi al riparo in zone sopraelevate, le gallerie saranno le prime a inondarsi), ma Bloomberg non aveva previsto quel che segue: è la capitolazione del Big Business.
Non è solo la chiusura di tutti i teatri di Broadway, di quasi tutti i ristoranti, coi turisti abbandonati in un coprifuoco spettrale. Sono i colossi della grande distribuzione che alzano bandiera bianca, ci piantano in asso nel momento del bisogno. Tutti vogliamo applicare i consigli della Protezione civile, a cominciare dal famoso "kit" che dobbiamo metterci in casa per fronteggiare l'assedio della calamità naturale: torce elettriche, acqua potabile, medicinali, nastro adesivo per rinforzare le finestre, radio a pile, una riserva di banconote.
Non sono solo io "l'italiano imprevidente" che corre a fare la spesa all'ultimo, come me tanti che venerdì hanno lavorato fino a tardi si riservano l'operazione-scorte al sabato mattina. Ma nel mio quartiere dell'Upper West fin dalle 11 chiudono i supermercati Whole Foods, i fast-food Subway, i caffè Starbucks, perfino le farmacie Duane Reade. Tutte le catene della grande distribuzione battono in ritirata, ingressi sprangati. "Il personale deve andare a casa prima che chiuda il metrò", intima sgarbato il vigilante che sbarra l'accesso al supermercato di Columbus Circle. Incredibile, nessuno di questi giganti del capitalismo newyorchese ha pensato a un servizio di navette per i dipendenti, ci abbandonano a fine mattinata e peggio per noi.
Parte una caccia disperata, a base di passaparola tra vicini di quartiere, e via di corsa dagli unici eroi del momento: i negozietti alimentari di quartiere, i pochi sopravvissuti di un'altra era, tutti in gestione a indiani, pachistani, portoricani. Code sterminate, ma cortesi, si snodano attorno a questi micro-imprenditori che miracolosamente hanno tutto, mele e banane, carta igienica e bibite, batterie e torce elettriche, ombrelli e galosce. È sempre a mezzogiorno che il Grand Central Terminal e Penn Station si svuotano, le due stazioni leggendarie che sempre brulicano di passeggeri diventano due città-fantasma.
Dagli schermi televisivi - che t'inseguono nel negozio dove fai la fila per acqua e provviste - i messaggi si fanno sempre più minacciosi. Il capo della polizia di Long Island avverte che "abbiamo predisposto 20 rifugi, ma il migliore rifugio se potete è lontano da qui, il più lontano possibile, a casa di amici e parenti". La Protezione civile tuona maledizioni contro renitenti e ritardatari, un numero imprecisato in questa metropoli meno disciplinata di altre zone d'America: "Chi non obbedisce alle ordinanze di evacuazione obbligatoria è un irresponsabile, mette in pericolo non solo la propria vita ma quella del personale di soccorso: pompieri, poliziotti, medici rischieranno di morire per venirvi a tirare fuori dai guai".
Seguono le immagini dei volontari che ammassano sacchetti di sabbia lungo la East River, su uno degli argini che tenta di reggere al "muro d'acqua". Tento una visita allo shelter del Jay College, il rifugio più vicino a casa mia. Appena capito che sono un giornalista vengo respinto: "La stampa qui non entra, per non turbare gli sfollati che sono sotto stress".
Viene il dubbio che il nostro Bloomberg abbia studiato fin troppo la lezione di Katrina: a New Orleans alcune delle immagini del disastro vennero proprio dal Superdome, lo stadio-rifugio della vergogna. Non sia mai che qualcosa giri storto pure qui, meglio non avere i media dentro i rifugi? Ma oggi rischio di doverci tornare comunque, e in veste di sfollato, se è vera la previsione del sindaco: "Siamo solo all'inizio, non garantisco il ritorno della corrente elettrica lunedì, non prometto niente a nessuno".
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